MuEt

Museo etnografico delle arti e mestieri della gente di montagna

Fotografia della facciata del museo MuEt di Niardo

Descrizione

Il museo è stato inaugurato a maggio 2023, grazie alle donazioni di Pierluigi Ferrari e Francesco Chini.

Il comune di Niardo è destinatario di una ricca ed eterogenea collezione di beni demo - etnoantropologici di Pierluigi Ferrari e Franco Chini. La raccolta è composta prevalentemente da strumenti della cultura tradizionale contadina dei secoli XIX e XX, ma spazia anche nel mondo industriale e post industriale. Essa è strettamente legata alla storica attività artigianale dei fabbri Taboni di Niardo (detti Frer), che affonda le sue radici nel XIX secolo e dalla quale deriva parte consistente della raccolta.

Fulcro concettuale della proposta è permettere agli oggetti di esprimersi in modo autobiografico, rivolgendosi direttamente al proprio pubblico di lettori, visitatori e acquirenti.

L'idea alla base intende combinare uno studio rigoroso dei ben con il racconto dei prodotti artigianali della cultura contadina delle Alpi, nella sua declinazione camuna, attuando un percorso di valorizzazione narrativa degli oggetti attraverso un'esposizione permanente della collezione di Francesco Chini.

Il fabbricato oggetto di intervento si trova in un complesso denominato "casa del Beato Innocenzo". Lo stabile si sviluppa nel centro storico del comune di Niardo, si sviluppa su tre piani fuori terra; a causa della vetustà dell'immobile, del mancato utilizzo del fabbricato e delle possibilità di un diverso utilizzo dello stesso è emersa la proposta di avviare il progetto di una "Casa Museo" che andasse a arricchire il complesso della "Casa del Beato" inteso come Centro Culturale.

Il MuEt, museo etnografico arti e mestieri della gente di montagna, nasce con l'obiettivo di raccogliere, conservare e valorizzare le testimonianze etnoantropologiche della gente di un territorio ricco di tradizioni popolari: la terra camuna racchiusa in una valle che ha elargito sostentamento e sviluppo alla propria gente che si è adoperata di spirito e sacrificio.

Lo spazio espositivo vuole infatti definirsi innanzitutto come un momento vivo per la ricerca e la conoscenza della cultura di un popolo che ha come interesse principale quello di cogliere i vari aspetti che formano le tradizioni popolari (simbolismo, socialità, lavoro, ritualità, arte, ...) dei cittadini conservandole e divulgandole alle generazioni future.

La finalità è quella di raccogliere, ordinare e studiare i materiali che si riferiscono alla storia, all'economia, ai dialetti, al folklore, ai costumi e usi in senso lato della gente camuna promuovendo la diffusione e la conoscenza attraverso questo spazio.

L'esposizione permanente si articola come un percorso rituale per significare transizione, soglia, trasformazione e ritorno; questi aspetti vengono interpretati dall'allestimento della mostra che crea uno scenario coerente per i visitatori.

Il percorso espositivo inizia con la citazione "non sempre ciò che vien dopo è progresso" di Alessandro Manzoni per introdurre gli oggetti esposti che segnano il legame e la discontinuità tra passato e presente, racchiudono in loro la storia e in un certo senso l'anima del territorio aiutando il visitatore a comprendere l'ambiente e la quotidianità.

A livello progettuale: si compone in due sezioni principali con un'atmosfera spaziale individuale per valorizzare gli oggetti. L'allestimento è seriale, composto da tre materiali: il legno, l'acciaio e la pietra, materie tradizionali e protagoniste assolute dell'esposizione, esse compongono tre tipologie espositive: il basamento, la rete e la parete, con l'obiettivo di banalizzare, uniformare e brunire l'ambiente circostante agli oggetti illuminati da luce artificiale per esaltare il tema dell'esposizione e la loro sacralità.